C’è chi pensa che il marketing sia solo una forma creativa per vendere prodotti. Una pubblicità ben fatta, un messaggio accattivante, una grafica curata.
In fin dei conti, il famoso Henri Ford disse al riguardo: “Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo.” E aveva ragione. Per far sapere che esisti al pubblico devi farti vedere.
Ma a ben guardare, il marketing – nella sua forma più cruda – non è così diverso da una guerra.
Sì, una guerra. Una guerra fatta non di armi, ma di parole, promesse, slogan, manipolazioni. Una guerra combattuta non sui campi di battaglia, ma nei cervelli, nei cuori e nei portafogli delle persone.
Come nelle guerre vere, anche nel marketing c’è un desiderio insaziabile di potere. Di conquista. Di territorio. Solo che qui i territori da occupare sono le menti dei consumatori, i mercati emergenti, le fette di attenzione da sottrarre alla concorrenza.
Un esempio storico? La “Guerra della Cola” tra Coca-Cola e Pepsi. Due multinazionali che si sono affrontate per decenni non solo sul piano del gusto, ma su quello dell’immaginario collettivo. Negli anni ’80, Pepsi lanciò la celebre “Pepsi Challenge”, in cui sfidava direttamente Coca-Cola in test alla cieca: una provocazione frontale, in pieno stile militare. Coca-Cola reagì cambiando persino la formula del suo prodotto – famigerata “New Coke” – un errore strategico che si rivelò un grande flop.
Non era più solo una questione di bibite, ma di supremazia. Di chi “comanda” nel mercato.
E a pagare il prezzo, come spesso accade nelle guerre, è stata la gente comune: clienti confusi, fidelizzazione tradita, una fiducia costruita in decenni, bruciata in pochi mesi.
Un altro esempio emblematico è la “guerra degli smartphone” tra Apple e Samsung. Spot pubblicitari che si prendevano gioco l’uno dell’altro, azioni legali in decine di paesi, accuse di copia, tentativi di bloccare le vendite. Una guerriglia legale e mediatica dove l’obiettivo non era solo vendere, ma annientare l’altro. Per dominare. Per diventare il “padrone” del territorio tecnologico.
E mentre i giganti si affrontano, i consumatori vengono trascinati nel conflitto. Illusi da promesse di innovazione, di superiorità tecnica, di esclusività. Ma alla fine, spesso si trovano solo con versioni riciclate, marginalmente diverse, vendute a prezzi più alti.
E come nelle guerre, anche nel marketing il fine giustifica i mezzi. Poco importa se il prodotto non serve davvero, se la promessa è gonfiata, se il cliente non è al centro, ma un semplice mezzo per raggiungere l’obiettivo finale: fare soldi, prima e più degli altri.
Dietro i sorrisi smaglianti delle pubblicità e le campagne “etiche” ben impacchettate, si muovono spesso logiche spietate, ciniche. Le stesse logiche che animano chi fa la guerra per conquistare territori: io voglio ciò che tu hai, e lo voglio ora. Poco importa come ci arrivo. Che si tratti di risorse naturali, influenza geopolitica o… quote di mercato.
Non tutto il marketing è così, certo. Esistono eccezioni, aziende che credono davvero in quello che fanno e cercano di costruire un valore reale, duraturo. Ma la regola, purtroppo, è un’altra. E ignorarla significa essere complici, o peggio, vittime inconsapevoli.
La prossima volta che vedrai una campagna pubblicitaria particolarmente “aggressiva” o “convincente”, chiediti: sto assistendo a un atto creativo… o a una dichiarazione di guerra?
Infine, leggendo nei vari social come le aziende all’istante ‘specializzate’ nel trattamento acqua, se le stanno suonando l’un l’altra, cercando di ‘giustificare’ i metodi da una parte, e urlando ‘attenti all’inganno’ dall’altra, mi viene in mente ciò che disse Anacarsi, filosofo greco del 600 a.c.: “Il mercato è un posto particolare dove gli uomini possono ingannarsi e mettersi nel sacco a vicenda.”